Esclusiva, Bautista: “Sono stato fortunato, ma merito quanto ho ottenuto”

Esclusiva, Bautista: “Sono stato fortunato, ma merito quanto ho ottenuto”© GPAgency

"Credo nel progetto della Honda, la Fireblade è bellissima, ma il percorso è appena cominciato. Ho capito di avere più fame di un rookie, e non voglio lasciare questo mondo. Forse perché da giovane il mio sogno rischiò di svanire per mancanza di fondi..."

15.12.2020 15:51

Una carriera paragonabile all’acconciatura sfoggiata quest’anno: lunga e a tratti dorata. Alvaro Bautista è uno dei top rider più longevi, per un inizio nel Motomondiale datato 2002, in un percorso che lo ha portato al titolo della 125, a successi in 250, podi in MotoGP e un iride quasi toccato nella Superbike, con 16 manche vinte (comprese le prime 11) all’esordio nella categoria e con la debuttante Ducati Panigale V4. 

Il trentaseienne castigliano ha cambiato tante moto, proponendo colori sociali e stili personali ogni volta unici. Fino al rosso, bianco e blu sulla Honda ufficiale SBK: "In realtà ho portato i capelli lunghi anche qualche anno fa, avevo un cipollotto sulla testa - scherza Alvaro, ma non tanto: nella prima stagione con l’Aprilia lo vedemmo con una chioma foltissima e ben raccolta - ora li ho ancora lunghi, non c’è una motivazione precisa. In generale, mi è sempre piaciuto giocare con il mio look... diciamo che non avevo voglia di tagliarmi i capelli, perciò li ho lasciati crescere liberamente fino quasi a toccare le spalle". 
 
Guardandoti alle spalle, invece, come ti senti?

"Mi sento addosso tutta l’esperienza maturata negli anni. La mia voglia è la stessa di sempre, cioè, dei miei inizi. Mi diverto in sella, ora guido moto con una potenza superiore a quella con cui vinsi, per esempio, in 125. Nonostante l’età, mi sento meglio a livello fisico e mentale. Si tratta di consapevolezza, metodo. Seguo un allenamento specifico e nell’alimentazione sono preciso. So cosa mi potrà fare bene, so cosa mi potrebbe fare male. Mi conosco meglio". 

Sei un pilota-papà. L’impressione era che, quando aspettavi la nascita di tua figlia, il pensiero ti limitasse nella corsa al titolo.

"Però quando annunciai che sarei diventato padre il 'progetto' aveva già quattro mesi. Nel lasso di tempo che aveva preceduto la mia dichiarazione avevo vinto tante gare con la Ducati. Sinceramente, credo che se qualcosa è andato storto, si sia trattato di coincidenze. Fortunatamente, ho sempre saputo fare due vite, separandole. Quando mi trovo a casa, allenamento a parte, nemmeno mi ricordo delle moto. Invece nel paddock mi dedico totalmente al lavoro. Soltanto di sera mi sento con mio padre, mia moglie, la famiglia e gli amici. Mi piace differenziare le due vite, in modo tale da sfruttare al meglio ogni momento e situazione. Ho avvertito poco la lontananza da mia figlia, perché quest’anno abbiamo fatto poche gare, tra l’altro quasi tutte in Spagna". 

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In effetti, siamo rimasti più a casa che in circuito. 

"Certo, e nel periodo di lockdown ho dimenticato di essere un pilota. Ho sfruttato tanto il tempo con la mia bimba, divertendomi tantissimo. Poi, quando siamo tornati a gareggiare, mi sono trovato bene anche con il mio staff di lavoro. Non ci sono stati attimi in cui ho sentito troppo la mancanza di mia figlia, però non dirlo a lei, altrimenti quanto torno a casa si arrabbia (ride)".

A differenza di tanti piloti spagnoli, non provieni dalla Catalogna. 

"È vero, io sono nativo di Talavera de la Reina, cittadina situata nel centro della Spagna, dove non c’è niente. Vivo ancora lì e, se penso al mio percorso, dico di essere stato fortunato. Conosco tanti piloti della mia zona che non hanno trovato il posto e il momento giusto. I miei genitori mi hanno sempre seguito sin dall’inizio: mi piacevano le moto, in sella mi divertivo, insieme abbiamo lottato, dimostrando il potenziale e i relativi risultati. Quando ho cominciato la mia ascesa agonistica, avevo già rischiato di smettere. Non avevamo soldi, erano finiti. Forse, non so, il destino ha deciso una svolta. Ma la realtà è che papà e mamma hanno fatto la differenza". 

C’è un episodio che ricordi particolarmente?

"Sì, risale a tanto tempo fa. Dopo aver corso la Movistar Cup, nessun team o struttura mi aveva preso per correre in quella serie. Quindi, provai ad andare avanti per conto mio e comprai una Yamaha, il modello che costava meno soldi. Faticai parecchio, senza riuscire a qualificarmi nel campionato spagnolo. Non riuscivo a entrare nei 40 classificati. Il denaro era finito e in famiglia avevamo deciso di piantarla lì. Proprio nella settimana in cui stavo smettendo, mi arrivò una chiamata. Il pilota di un team abdicava, a me chiesero 18.000 Euro per tre weekend completi. Io, papà e mamma eravamo di fronte alle sliding doors. Un bivio". 

Cosa avete fatto?

"Andammo in banca a chiedere un prestito. Vuoi sapere come è poi andata?". 

Certo. 

"Mi qualificai tra i più veloci del campionato spagnolo con la squadra progenitrice dell’attuale Team Avintia MotoGP di Raul Romero. Nella prima gara disputata insieme, siglai il quinto tempo con una Honda e la gente iniziò a dire 'questo biondino può fare bene'. Avevano ragione, infatti l’anno dopo arrivai secondo in patria con un team che si chiamava Atletico de Madrid (che non a caso è la squadra di calcio per cui tifa, nde). In poco tempo, mi ritrovai dall’appendere il casco al chiodo al salire di carriera, perché poi debuttai nel Motomondiale". 

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"Il sogno divenne realtà. Pensavo a mio padre, che lavorava come meccanico e faceva di tutto pur di aiutarmi. Pensavo a mia mamma, che mi seguiva al meglio. Il pensiero era per le mie sorelle, che mi davano il denaro utile per correre. È stato tutto incredibile. Se guardo indietro, capisco di essere stato fortunato, ma di aver meritato quanto ottenuto. Grazie a tutti loro, alla famiglia, naturalmente". 

Dove trovi la motivazione per competere ancora?

"Bé, capita di non aver voglia di entrare in pista. A volte il freddo mi disincentiva (ride). Dà fastidio pure il caldo, ma il freddo è peggio. Succede di aver pochi stimoli in condizioni così al limite, però, una volta salito in sella, la motivazione torna velocemente e molto forte. Il fatto è che guidare la moto mi diverte. Lo dimostra la mia decisione del 2018: una volta capito di non avere più posto in MotoGP, avrei potuto decidere di rimanere a casa, bello tranquillo. La voglia di correre ancora c’era, quindi ho colto l’opportunità offertami dalla Superbike". 

Con la Ducati hai sfiorato il titolo, collezionando record su record al debutto. Quest’anno il tuo impegno è sembrato ancora più grande, malgrado un solo podio con la Honda. 

"La situazione è diversa. Nel 2019 trovai una Panigale V4 R già fatta, pronta per le gare. I collaudatori avevano portato avanti lo sviluppo, per quasi due anni di esperienze maturate dal reparto corse Ducati. Tutto era più facile. Con la Honda, invece, stiamo spingendo in avanti un progetto del tutto nuovo, inedito. La CBR RR-R è arrivata esattamente un anno fa, da lì abbiamo dovuto cominciare dal particolare più piccolo, impegnandoci parecchio. Quando le cose sono difficili, deve aumentare l’impegno, così ho fatto io. Il nostro progetto è giovane, il lavoro da svolgere è tanto, io do tutto me stesso, sempre. Se posso vincere con 15 secondi di vantaggio, lo faccio. Se riesco ad arrivare sesto, lo faccio. Per me il lavoro è lo stesso, soltanto che quest’anno abbiamo dovuto mettere insieme tutti i pezzi di un puzzle che ha un grande potenziale".

In attesa che diventi vincente, la nuovissima Honda Fireblade è ritenuta da tutti bella. Piace anche a te?

"Eccome! La nostra CBR RR-R è bellissima, poiché fatta bene. Si vede come ogni dettaglio non stia lì per caso. Se confrontiamo la Fireblade con le altre Superbike, notiamo come tutti i dettagli si trovino nei posti giusti, ogni particolare è perfetto, studiato. Non ci sono cavi o cablaggi fuori posto. Sì, la Honda è veramente Japanese Style". 

Quale sogno ti piacerebbe realizzare?

"Mi piacerebbe che la vita tornasse alla cosiddetta 'normalità'. Conosciamo la situazione attuale, e non la si può definire bella. Questo, per l’aspetto umano. Per quanto riguarda quello del pilota, desidero divertirmi ancora, guidando la moto al mio meglio, per parecchio tempo ancora. Così mi sento più giovane. Quest’anno sono caduto, comprendendo poi il motivo: avevo più voglia di quanta non ne possa avere un rookie. Il desiderio di vincere era forte, fortissimo. Ho capito che rimanere in questo mondo mi permette di sentirmi più giovane, vorrei stare qui ancora per tanti anni".

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