Carl Fogarty: “La Petronas fu un'esperienza frustrante”

Carl Fogarty: “La Petronas fu un'esperienza frustrante”© GpAgency

Dopo essere stato il pilota da battere, Foggy accettò la proposta dei malesi, intenzionati a diventare costruttori affidandosi all’esperienza del quattro volte campione. Ma il progetto da quasi 50 milioni di euro generò soltanto due podi e due pole

Gordon Ritchie

30.04.2021 ( Aggiornata il 30.04.2021 15:28 )

Cosa fa il più grande pilota di una specialità, come era Carl Fogarty al momento dell’addio alla Superbike, quando la sua carriera viene interrotta da un infortunio? Rimane in quel mondo, visto che il fuoco non si è spento anche se non è più possibile sfogare la passione in corsa.

E se sei Carl Fogarty, accetti l’offerta di realizzare un progetto rivoluzionario per la Superbike, con il quale una delle più grande compagnie di lubrificanti del Mondo si trasforma istantaneamente in un costruttore di moto.

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Pazza idea malese


E così, nel 2003, ecco la Petronas, dalla Malesia, che non iniziò l’attività costruendo piccole utilitarie sotto i 400 di cilindrata per poi salire: la scelta fu quella partire direttamente da una Superbike unica nel suo genere, per la strada e per la pista, associandola all’esperienza e al nome di Fogarty. La Petronas FP1 avrebbe ricevuto un’omologazione speciale, con una produzione complessiva di 150 moto: 75 per cominciare e altrettante per raggiungere la quota minima richiesta per l’ammissione al mondiale Superbike, secondo le regole. Regole e prassi che i piccoli costruttori hanno conosciuto bene, negli anni, ma i critici puntualizzarono: i piccoli costruttori erano tali e già esistenti, non erano debuttanti. Fecero discutere anche altri particolari. Il progetto originale, per esempio, era un modello tre cilindri fatto per la MotoGP, ma poi il colosso malese cambiò idea per dirigersi verso la Superbike e il suo ex campione. Il timing era con ogni probabilità sbagliato così il motore - per progetto o per realizzazione - come sarebbe stato dimostrato dal severo confronto in pista.

Ma a Fogarty, l’idea era decisamente piaciuta. “A essere onesti, il momento non era quello giusto” ha riconosciuto successivamente. “Non avevo ancora digerito il ritiro dalle corse, non avevo accettato l’idea, stavo cercando di non interessarmi più al campionato. Ma questa era un’opportunità troppo allettante e decisi di farmi coinvolgere. Il contatto nacque da alcuni miei vecchi sponsor, grazie a loro conobbi la Petronas e vinsi alcune gare per loro in Malesia. David Wong, che qualche anno fa è scomparso, fece in modo di arrivare alla firma: fu lui a convincere la Petronas a non limitarsi a realizzare due-tre moto per andare a correre in MotoGP nel 2003, bensì a produrre 150 esemplari, diventando un vero e proprio costruttore e correre nel mondiale Superbike. Non so come, ma ci riuscì”.

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Da sogno a incubo


Nonostante i problemi di affidabilità legati al progetto del motore, con i corpi farfallati davanti e gli scarichi a uscire dal posteriore del blocco cilindri inclinato, le altre componenti sembravano valere un progetto che aveva reputazione di essere da quasi 50 milioni di Euro. Un sogno turchese a tre cilindri che però sarebbe diventato un incubo nonostante all’apice dell’avventura arrivarono due pole position e un podio con Troy Corser e un altro podio con Chris Walker. “Se ripenso a quella esperienza, posso andarne orgoglioso per tante ragioni” ha aggiunto Fogarty. “Sono orgoglioso per ciò che è stato costruito e realizzato in un periodo breve. Ingaggiammo ottimi piloti, le nostre strutture non avevano nulla da invidiare a nessuno, così come la nostra presenza nel mondiale Superbike. Al debutto in pista, però, eravamo stati orribili. Ma non erano problemi legati a ciò che era sotto la mia responsabilità. L’unica cosa del progetto in cui non avevamo parola né io né le persone del mio team, era il motore. Che era realizzato dalla Petronas originariamente con la Sauber, ma l’accordo saltò. Cercammo aiuto, mi rivolsi a motoristi di mia fiducia, come Cosworth, ma dai vertici dell’azienda ci venne intimato uno stop. Perché la loro idea fu di andare con lo svizzero Eskil Suter. Noi ci guardammo un po’ straniti, in fondo pensavamo che la sua competenza fosse sui motori due tempi e le 250 di cilindrata... Sapete com’è finita la storia. In un modo che definirei frustrante”.

Dopo che i progetti iniziali vennero completati, e dopo che i singoli componenti vennero realizzati, arrivarono i motori. “Che si integravano perfettamente con il telaio. Tutto era stato fatto alla perfezione, ma non appena accendemmo la moto arrivarono i problemi. La moto faceva un bel rumore, ma si surriscaldò subito e perse olio e poi acqua. Lo fece al debutto nel mondiale Superbike e credo lo fece anche nell’ultima gara disputata, a Magny-Cours nel 2006. Ma cosa si poteva fare? Una volta che il progetto era stato realizzato, con 150 modelli costruiti, non c’era modo di cambiare tutto all’improvviso. Più volte in Petronas si saranno chiesti ‘in cosa diavolo ci siamo cacciati?’, ma hanno voluto onorare i contratti fino alla fine, noi facemmo il possibile con ciò che avevamo a disposizione”.

Telaio ok, motore lento


Certo, fu una tortura o qualcosa di simile per un vincente come Fogarty, che era abituato al ruolo di uomo da battere. “Per chi è abituato a vincere, lottare per prendere punti e finire le gare, è frustrante. E lo era anche per Petronas, che aveva investito parecchi soldi. Avrei voluto ottenere risultati soprattutto per loro, ma il motore non era nemmeno vicino all’essere competitivo. Poi le regole cambiarono dopo che portammo il 900 tre cilindri, visto che aumentò la cubatura per tutti: finimmo per avere la moto più lenta in gara, con la minore cilindrata. Ma oggi, dopo tanti anni, resta l’idea di un’esperienza molto interessante”.

Il Foggy Petronas Racing era diviso tra telaisti e reparto corse in Gran Bretagna e il reparto motori in Svizzera. Tutto nuovo, soprattutto il quartier generale inglese, anche se c’erano altri nomi noti: l’ex pilota Nigel Bosworth team manager, e Steve Thompson capotecnico. Le risorse non mancavano ma con motori dalla vita così breve, l’intero progetto non è decollato. Steve Martin, pilota scelto da Fogarty per un team che per mille ragioni era di prima classe, disse che non aveva mai guidato una moto con un telaio come quello della Petronas. “Sì, sono d’accordo. Ma quando hai una moto lenta, di solito la maneggevolezza è molto buona, secondo la mia esperienza” ha aggiunto Fogarty sorridendo amaro. “Ma Martin aveva ragione: avevamo fondamentalmente copiato la moto, perché le geometrie e la ciclistica venivano dall’allora Yamaha 500”.

I già citati cambiamenti regolamenti e il fatto che la Petronas non potesse avere troppe moto per le strade visti i problemi del progetto Superbike sul motore, portarono all’epilogo. Con una lunga serie di rimpianti. E con parecchi dati interessanti. Come ricordare chi guidò la moto malese: la prima coppia, nel 2003, fu formata da Corser e James Haydon, poi Corser e Walker nell’annata dei podi e delle pole, poi Martin, Garry McCoy e la wild card Andi Notman nel 2005, poi fu il povero Craig Jones ad affiancare Martin nel 2006.

La storia dell’ex campione diventato manager con successo (con la Yamaha) prima di vivere un buco nell’acqua da costruttore (Modenas) è stata sperimentata anche da Kenny Roberts, ma nei GP. Viene da chiedersi come sarebbe finita se Fogarty fosse diventato manager di Ducati, Yamaha o Honda in SBK. Ma resta una curiosità: alcune Petronas da strada sono giacenti nei magazzini di concessionari. Quanto varranno fra 50 anni nelle aste britanniche?

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