Troy Bayliss: cosa dicono di lui i suoi colleghi

Troy Bayliss: cosa dicono di lui i suoi colleghi© GpAgency

Il fenomeno australiano che ha scritto la storia della Superbike raccontato dai suoi colleghi e addetti ai lavori

26.07.2021 19:28

Andrew Pitt


“Io e Troy siamo cresciuti nel campionato australiano. Rispetto ai piloti europei, avevamo ostacoli in più da superare: le gare su pista erano concesse soltanto ai maggiorenni, a noi restavano terra e polvere. Ecco perché correvamo tra Dirt Track e Cross. Chi andava via da casa, avrebbe dovuto affrontare un viaggio lunghissimo. Per Bayliss e pure per me, le difficoltà erano doppie. Arrivati nel Mondiale, sapevo quanto lui fosse forte, infatti mi batteva spesso. Io ebbi la meglio soltanto in qualche occasione, dando il 110%”.

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James Toseland


“Era bello battagliare con Bayliss, perché sapevi che lui avrebbe dato il cento percento e oltre, ma senza mancarti di rispetto. Troy non è mai stato scorretto con me né con gli altri ragazzi in pista. In gara lui era incredibile: non potevi distrarti un attimo che arrivava da parte sua un attacco, preciso e puntuale. Quando vinsi il titolo nel 2007, dovetti guidare la mia Honda Ten Kate al limite e anche più in là. Soltanto così fu possibile batterlo”.

Colin Edwards


“Tutti ricordano la sfida finale di Imola 2002. Bellissima giornata, ovviamente, ma non fu quella l’unica battaglia tra me e Troy. In quel caso ci giocammo un titolo e l’attenzione era catalizzata soltanto su di noi, però io potrei elencare sfide ancora più avvincenti. Dopo la sua sfortunata parentesi a Sugo 2000, Bayliss si ripresentò a Monza. Dove sfoderò quel quadruplo sorpasso, in cui pensai: “ma che diavolo sta facendo questo australiano, che intenzioni ha?”. Impiegai poco a capire quali intenzioni avesse...”.

Ernesto Marinelli


“Conobbi Troy nel campionato AMA del 2000, nel Team Vance & Hines. Fu pazzesco come affrontò, senza conoscerla, Daytona: pochi passaggi cronometrati ed era già in testa, incredibile. Il suo stile di guida era unico, con tanti movimenti in sella, senza stressare la meccanica. Mentalmente era aperto, accettava ogni soluzione proposta. Insieme vincemmo in SBK due campionati, ma il successo che ricordo con più piacere fu a Valencia in MotoGP: la gara più bella della mia carriera. Io e Troy siamo stati veri compagni d’armi”.

Peter Goddard


“Si è spesso detto che Troy non era un pilota tecnico e avvezzo alle modifiche. Non è affatto vero. Chiaramente, avendo iniziato su motociclette sprovviste di controlli elettronici e apparecchiature del genere, Bayliss dovette – di stagione in stagione – aggiornarsi. Ma fu così anche per me e per tutti gli altri. E poi, nella guida, lui sapeva sopperire alle lacune della moto, mettendoci del suo. Ecco dove faceva la differenza”.

Ben Bostrom


“Troy ci provava sempre. Che bei tempi, mi piace pensare ai tanti duelli con lui. Erano tanti gli avversari forti, ma Bayliss aveva qualcosa in più. Non era possibile correre tranquilli contro uno come lui. In ogni staccata, in qualsiasi curva, sapevi che sarebbe arrivato un suo attacco. Se dovessi definire le mosse dell’australiano, direi che era come un cane quando punta l’osso. E, spesso, lo azzannava”.

Lucio Pedercini


Voglio ricordare la sua wild card nella 250 GP nel 1997. Io correvo in 500 e, in attesa della mia partenza, andai a vedere la corsa della quarto di litro. Mi accorsi immediatamente che quel Bayliss aveva qualcosa in più. Con una Suzuki che proprio non voleva andare, l’australiano sfiorò il podio, facendo venire gli incubi a tanti rivali ufficiali. Sapevo che sarebbe diventato un campione, ci avevo visto lungo, ma non era difficile intuirlo”.

Neil Hodgson


“Era il 2000, a Brands Hatch si correva il mondiale SBK, io ero impegnato come wild card. Quando mi chiesero chi avrebbe potuto vincere almeno una delle due manche, indicai il nome di Troy. Lui conosceva la pista, avendoci già corso nel BSB. Immaginavo un suo possibile successo, ma non in quel modo! Era mostruoso. Attaccava nei punti più pericolosi, dimostrandosi un pilota pronto a tutto. Sì, Bayliss era pronto per la vittoria di un Mondiale, e infatti trionfò già l’anno successivo”.

Massimo Corbascio


“Troy cadde a Donington nel 2007 in Gara 1. Arrivò in clinica con un dito a penzoloni, urlando: 'Tagliatemelo, voglio correre Gara 2!'. Per me era una cosa pure fattibile, ma mi accorsi di un’altra cosa: Bayliss zoppicava. Dopo ulteriori controlli, gli trovammo una grossa emorragia nella zona dei testicoli. Dovetti fermarlo, a malincuore. Era troppo pericoloso per lui che, invece, minimizzava il problema, senza lamentarsi, mettendoci tanto coraggio. Ecco perché ricordo Troy come un pilota con le... palle!”.

Michel Fabrizio


Troy non mi fece una buona impressione iniziale. Io guardavo la Superbike in TV e rimasi colpito dal doppio errore di Sugo nel 2000. Poi, a Monza, cambiai idea: quel quadruplo sorpasso mi fece innamorare di lui. Quando me lo trovai come rivale, rimasi incantato dal suo stile di guida unico, tutto storto e “scintillante”. A Brands Hatch ero più veloce io ma, prima di superarlo, aspettai un po’: era troppo bello vederlo da dietro! Mi insegnò a bere la birra: diceva che una bella media prima di dormire mi avrebbe fatto riposare meglio”.

Steve Martin


“Bayliss era molto forte, è stato bravo a sfruttare le opportunità avute. Lui ha vinto tanto in Superbike, lo abbiamo visto, ma io dico che in MotoGP avrebbe potuto fare di più, magari non le stesse cose, ma molto di più della singola vittoria ottenuta nel 2006. A Valencia, Bayliss fu fantastico: senza aver mai provato la Ducati MotoGP gommata Bridgestone, dominò il weekend, vincendo il Gran Premio. Quel successo confermò il suo innato valore”.

Jeremy Burgess


“Troy è un compaesano, so quanta fatica abbia dovuto fare per lasciare l’Australia. Bayliss era un ragazzo normale nella vita di tutti i giorni, ma speciale in pista. Lui ha vinto tre titoli in SBK, battendo altri australiani forti, però non alla sua altezza. Se avesse avuto le giuste condizioni, in MotoGP avrebbe replicato più volte il successo di Valencia. Ho sempre detto che per vincere servono tutti gli ingredienti, specialmente per una persona sensibile come Troy, bisognoso di uno staff dedicato alle sue esigenze”.

Troy Corser


"Com’era Troy in pista? Lo avete visto tutti. Sapeva guidare al limite, spesso oltre. Non conveniva seguire le sue linee, perché si rischiava di finire nelle vie di fuga. Quanti duelli con lui: quando l’ho battuto, nessuna polemica. Quando lui aveva la meglio, nemmeno. Ci dividevamo il tifo australiano e le birre a fine weekend. Eravamo giovani, spensierati e veloci. Bei tempi per il motociclismo del nostro Paese”.

Scott Redding


"Essendo inglese, avevo in Carl Fogarty il riferimento della Superbike. Foggy era molto forte, un campione. Ma io preferivo Bayliss. Troy era mitico almeno quanto Carl ed era ancora più personaggio. Entrambi guidavano “sopra” i problemi, l’australiano esprimeva il meglio proprio quando occorreva duellare, sgomitare. Se devo scegliere, opto per il pilota Aussie”.

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