Prove amarcord: la Ducati 1098R F08 di Troy Bayliss

Prove amarcord: la Ducati 1098R F08 di Troy Bayliss© LaPresse

Il test di una delle Rosse di Borgo Panigale che hanno fatto la storia della Superbike. A metterla alla prova un tester d'eccezione: Randy Mamola, che ce l'ha raccontata in questo articolo

Archivio Conti

23.01.2022 ( Aggiornata il 23.01.2022 19:52 )

Se mi chiedete qual è la moto da corsa che avevo più voglia di provare, vi rispondo subito: la Ducati 1098R F08. Perché dopo anni di studi e preparativi, in quella fase storica il regolamento Superbike finalmente aprì le porte ai bicilindrici di 1.200 cm3.

Il campionato, che fino al 2007 aveva vissuto sulla sfida a pari cilindrata fra due e quattro cilindri, trovò nuovi spunti di interesse e di discussione tecnica. Da una parte la Ducati, che ha spinto molto per questa soluzione, trovandosi stretta nella morsa di un mercato in cui ormai le sue 999 bicilindriche si trovavano nell’impossibilità di contrastare le strapotenti quattro cilindri giapponesi, e dall’altra, appunto, i costruttori nipponici, che temevano di doversi inchinare ad una superiorità tecnica Ducati nelle competizioni.

La 1098R F08 che ho avuto l’opportunità di provare è quindi nella stessa identica configurazione con cui è stata sviluppata durante l’inverno: motore di 1198 cm3, air restrictor a valle dei corpi farfallati di 50 mm Ø (sono di forma ellittica, quindi la misura è riferita al cosiddetto “diametro equivalente”), e 168 kg di peso minimo.

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È proprio come mamma l’ha fatta


Sanno tutti che fino alle precedenti 999, per far andar forte le sue bicilindriche la Ducati era costretta a scavare fino al fondo del regolamento per trovare cavalli. I motori erano dei veri e propri prototipi, troppo costosi da mantenere per i team privati, che ormai erano praticamente monopolizzati dalle marche giapponesi. Oltre ai costi, la 999 era comunque al limite fisico dello sviluppo, e solo la grande esperienza Ducati sul fronte della gestione elettronica le aveva permesso di vincere il titolo nel 2006 e di lottare per le prime posizioni nel 2007.

C’era bisogno di una svolta, in pista e sul mercato, e quindi, approvato il nuovo regolamento, lo sviluppo della 1098R F08 è proceduto di pari passo con quello della moto di “serie” da cui deriva, la 1098 R. Ernesto Marinelli, responsabile tecnico del team, mi ha confermato che la creatura di Bayliss e Fabrizio, così come quelle dei team privati, differiva dalla “standard” soprattutto nella ciclistica. L’avantreno è completamente racing, con la Forcella Ohlins TTX 20 pressurizzata con steli di 43 mm Ø, nuove testa e piastra di sterzo e freni Brembo con pinze P4 monoblocco con pistoncini da 34 mm mm Ø. Nel posteriore sono diversi il forcellone (mantenendo il disegno originale) e il leveraggio della sospensione, mentre l’ammortizzatore, che già di serie è il prestigioso Ohlins TTX 36 a doppia regolazione, è modificato nei piedini (per consentire il montaggio dei potenziometri dell’acquisizione dati) e nel settaggio interno. Altra modifica importante è l’adozione dei cerchi Marchesini forgiati in magnesio da 16,5” (è per alloggiarli che viene modificato il forcellone) con il posteriore che può avere un canale di 6,00” o 6,25” a seconda delle regolazioni e degli pneumatici scelti dai piloti di volta in volta. Non ci sono altre modifiche, carene e serbatoio da 24 litri in alluminio a parte.

La prima Ducati con una posizione di guida “giusta”


Alla conferenza stampa Ducati di fine anno a Madonna di Campiglio, dissi a Claudio Domenicali che con la 1098 (mi riferisco a quella di serie) la Ducati aveva finalmente costruito una moto di serie con una posizione di guida “intuitiva”. I piloti hanno bisogno di sentirsi a casa propria. Quando guidano, non devono perdere tempo ad adattarsi a serbatoi lunghi, selle lontane o quant’altro possa recare fastidio. La 1098 invece è “naturale” ti senti bene non appena sali in sella, e con questa 1098R F08 ti senti ancora meglio non appena fai un giro di pista per scaldare le gomme. Il mio primo giro l’ho fatto a Monza, sotto un diluvio.

Quel giorno non era possibile provare, quindi siamo tornati la settimana seguente al Mugello per il test. Ma già quel primo e unico giro a Monza l’avevo concluso in monoruota e con un sorriso a trentadue denti sotto il casco. E dopo il primo giro al Mugello ho cominciato a pensare “Wow... it’s wonderful”... Ops.. scusate, quando penso mi dimentico di tradurre: “Wow, è meravigliosa!". 

Già, meravigliosa. Pensavo che avere tanta coppia in più da gestire rispetto alla 1098 base potesse farla diventare difficile, aggressiva, invece è esattamente il contrario: ha lo stesso piacevolissimo carattere della sorella stradale, ma ti “serve” la tanta coppia con una dolcezza infinita. Tutto è facile, morbido e controllabile rispetto ai comandi sul gas, nonostante la spinta risulti impressionante.

Cambiare stile di guida


Già dai primi giri, comunque, ho capito che qui ci vuole uno stile di guida diverso rispetto alle quattro cilindri giapponesi. È una questione di assetto ciclistico e di erogazione, e tutto deriva proprio dal particolare motore. Qui, anche quando ti sembra di uscire dalle curve con il motore sottocoppia, appena ruoti il gas hai un’accelerazione immediata, mentre con le “quattro” la prima risposta è molto meno rapida, così puoi aprire con più decisione ed aspettare due cose: la derapata del posteriore e un’accelerazione che comincia a farsi sentire veramente quando già hai finito di addrizzare la moto.

Con la Ducati invece ti ritrovi subito una gran coppia, ed è per questo, credo, che la tengono un po’ “bassa” sul posteriore (almeno questa è la mia sensazione), per avere grip. O meglio, per avere grip da gestire con il controllo della trazione. Già, il controllo di trazione: ho dovuto cominciare a spingere davvero, nell’ultimo round del mio test, per sentirlo entrare in azione in modo deciso, specie nelle curve a destra.

E allora ho cominciato a capire cosa vuol dire nel linguaggio dei piloti moderni il “setup”. Ai miei tempi si trattava di sospensioni: leveraggi dell’ammortizzatore, molle, regolazioni interne, geometrie. Oggi credo che tutto si riduca al tentativo, magari difficile, di armonizzare potenza ed erogazione del motore con il grip delle gomme, passando per la gestione elettronica. Tutto il resto passa in second’ordine. Sfruttare al massimo il grip delle gomme per garantire accelerazione! Questa sembra la missione della 1098R F08.

Nei primi giri usavo le marce sbagliate, troppo corte, in molte curve del Mugello. Facevo in prima la San Donato e la esse successiva, perché scalando fino alla prima avevo a disposizione un fantastico freno motore e la moto si inseriva in modo meraviglioso, quasi teleguidata. Entravo in curva ed era come se qualcuno mi tirasse giù la moto dal davanti. Perfetto per avere il massimo controllo e la massima sicurezza. Non come sulle quattro cilindri dove sembra sempre che qualcuno ti stia spingendo da dietro... Ma appena riprendevo in mano il gas per il cambio di direzione sinistra/destra la spinta sulla ruota motrice era tale che l’avantreno si alleggeriva in modo evidente.

Assetti differenti


E poi avevo un altro problema: mi finiva la marcia, perché in un attimo ero a 11.000 giri, dove tagliava il limitatore. Dopo un rapido consulto con Ernesto Marinelli, il responsabile tecnico del team, ho capito che potevo ottenere più freno motore pur scalando solo fi no alla seconda se mi adattavo a fare quest’operazione come Troy, senza usare la frizione in scalata. Così facendo la 1098 mi teneva meglio la linea alla corda e nella riapertura del gas avevo meno trasferimento di carico, quindi l’avantreno era più stabile, anche se conservava pur sempre un certo “movimento” dello sterzo, che non sono riuscito a eliminare anche in tutti i passaggi in sesta piena sul lungo rettilineo del Mugello.

Ho pensato che fosse un movimento intrinseco della moto. “Va talmente bene” — ho detto fra me e me — “che probabilmente fa come i cani quando sono felici e aspettano che gli lanci il bastone, scodinzolando serenamente”. Poi Ernesto mi ha spiegato che probabilmente dipende dall’assetto scelto da Troy, che vuole una moto molto rapida a voltare, perché lui ha una guida nervosa, entra profondo in curva, la gira in un attimo e riapre il gas. Aldilà di questa “leggerezza” dello sterzo in accelerazione, il telaio della 1098 è favoloso, preciso e intuitivo. Guidando le moto da corsa trovi sempre motivo di divertimento, ma questa è veramente un parco giochi e allora mi sarebbe piaciuto poter giocare un po’ anch’io con l’elettronica.

Io personalmente ci metterei un po’ più di freno motore, perché così com’è, entrando in molte curve in seconda per avere la possibilità di sfruttare la coppia in accelerazione prima che intervenga il limitatore, dovevo tenerla in traiettoria pizzicando i freni. A dire il vero sotto questo aspetto la moto era settata per Monza, a maggior dimostrazione di quanto oggi l’elettronica permetta di modificare ogni parametro in funzione di ogni pista e dello stile di guida dei piloti. Ma sono questi “giochi” con l’elettronica che ci spiegano perché, a volte, i piloti Ducati non sono tutti competitivi allo stesso livello sulla stessa pista.

In frenata, vuoi per merito del sistema di gestione elettronica, vuoi per la potenza dei freni e per la messa a punto della ciclistica, questa moto è superba. Quando sei impegnato in staccata, mentre strizzi la leva, è come se tutto l’avantreno si allargasse man mano che insisti, e questa, credetemi, è proprio la sensazione che il pilota cerca quando deve tentare l’impossibile per fare il giro veloce o superare un avversario.

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