Yamaha Mondiale: Nori Haga, l'uomo che lasciò il segno senza vincere

Yamaha Mondiale: Nori Haga, l'uomo che lasciò il segno senza vincere© GpAgency

Non ha mai vinto un titolo, con il rimpianto del controverso 2000, eppure il giapponese ha catturato l'attenzione del mondo SBK

11.03.2022 ( Aggiornata il 11.03.2022 19:58 )

Provate a fare il nome di Nori Haga in qualsiasi raduno di motociclisti di qualunque Marca e vedrete subito espressioni sognanti ed estasiati come se aveste nominato una Divinità pagana!

Il giapponese è diventato in brevissimo tempo una rockstar del paddock delle Superbike e una grande bandiera per la Yamaha. Nel mondiale SBK si erano già affacciati altri piloti del Sol Levante come il compianto Yasutomo Nagai proprio con la Yamaha oppure Akira Yanagawa e tutte le velocissime wild card della gara di Sugo.

Esclusiva, Giacomo Agostini: "La Yamaha è stata come una famiglia per me"

Fuori dagli schemi


Ma nessuno di questi aveva conquistato il cuore come questo fantastico istrione, capace di battute fulminanti e atteggiamenti da attore nato. Qualità che si declinavano anche nel suo comportamento in pista, e che rompevano lo schema del pilota giapponese tradizionalmente compassato, educato e defilato. La miscela esplosiva era formata da questo carattere estroverso unito a uno stile di guida mai visto prima. Velocissimo, spavaldo, combattente fino al contatto fisico con gli avversari e soprattutto precursore, con pieghe da brivido con tutto il casco proiettato all’interno delle curve e il gomito vicino all’asfalto.

La prima volta che vedemmo in azione questo fenomeno fu in occasione del round di Sugo nel 1994, dove in sella a una Ducati 888 del Team Foundation ruppe lo scarico e si presentò alla squadra ufficiale per chiedere un pezzo di ricambio che, per fortuna, gli venne generosamente dato. E con la sua Ducati sponsorizzata da prodotti farmaceutici sulla carena, l’allora diciannovenne Haga partì in seconda fila e dopo numeri da brivido finì una volta in terra, e fu 12° in Gara 2. Venne notato dalla Yamaha che lo mise in sella alle sue moto nel campionato giapponese in 250 e SBK. Il vero salto all’interno dell’orbita Yamaha avvenne sul finire del 1995, e fu per una tragica casualità: avvenne quando Yasutomo Nagai, pilota titolare del Team Yamaha WSBK fu vittima di un tragico incidente ad Assen dove durante una banale scivolata, la moto impazzita gli volò addosso.

L'esplosione del fenomeno Nori


Nel 1996 alla Yamaha SBK arrivò anche Colin Edwards, e in coppia con il texano Haga dominò la micidiale 8 Ore di Suzuka, conquistando immediatamente un grande peso all’interno del reparto corse Yamaha, perché la gara di durata giapponese era fondamentale per le Case. E nel 1997 Haga venne iscritto come wild card alle ultime due gare del mondiale SBK, e quanto fece vedere tra Giappone e Indonesia lasciò senza fiato: il funambolico NitroNori conquistò una vittoria e tre podi e soprattutto il posto nel team ufficiale per la stagione successiva.

Nel 1998 esplose il fenomeno Haga, che si presentò con tre vittorie in quattro manche, guidando il Mondiale per i primi quattro round. Il rookie si trovava a combattere con la più agguerrita pattuglia di fenomeni della storia della SBK: Fogarty, Slight, Edwards, Corser, Chili, Russell, ma lui mostrò subito le sue reali potenzialità, senza timori reverenziali. Nel 1999 la Yamaha presentò una moto rivoluzionaria con lo scopo di cercare di colmare il divario tra le quattro cilindri rimaste a 750 cm³ e le bicilindriche ormai arrivate quasi a mille di cilindrata. La Yamaha R7 era una moto molto particolare perché costosissima e dotata di un motore poco potente che doveva essere potenziato da un kit altrettanto costoso, ma era dotata del telaio derivato dalla 500 GP e di sospensioni racing.

Insomma, una moto destinata a non avere successo commerciale ma che diventò ben presto un altro mito delle corse della Casa giapponese, poiché protagonista di fantastiche battaglie. Haga impiegò tutta la stagione per capire bene questa nuova “arma totale”, raccogliendo soltanto una vittoria e due podi. Ma era tutto pronto per la stagione 2000, storica per Nori Haga.

Quello era un vero periodo magico per la Superbike che viveva stagioni avvincenti, con gare incerte e spettacolarissime che si risolvevano spesso all’ultimo giro con duelli al cardiopalmo. Al contrario la bellissima classe 500 dei GP viveva un noiosissimo dominio di una sola moto, la Honda 500 NSR, che guidata da Mick Doohan addormentava tutte le gare. Nella SBK ben sei Case differenti si fronteggiavano con piloti che venivano da tutti i continenti catalizzando l’interesse degli appassionati sia sulle piste che in TV.

Il 2000 e il titolo sfiorato


La stagione 2000 della SBK fu un capolavoro di suspense e colpi di scena. Il più clamoroso fu il brutto incidente alla seconda gara in Australia: il Re, Carl Fogarty, si ruppe un braccio in un tamponamento sotto il diluvio. E fu l’infortunio che mise fine alla carriera del quattro volte campione del Mondo. La Ducati dovette cercare il sostituto, pescando Troy Bayliss, che si fece conoscere con un leggendario sorpasso a quattro avversari alla prima variante di Monza.

Ma l’australiano, nonostante le vittorie e i piazzamenti, non poteva certo lottare subito per il Mondiale, essendo entrato “in corsa”. Via libera quindi per due fantastici rivali come Colin Edwards in sella alla mille bicilindrica Honda e Nori Haga con la sua quattro cilindri 750 R7. Purtroppo il vero duello sportivo tra questi due talenti fu pesantemente condizionato da una serie di fatti scaturiti al termine della prima gara in Sud Africa: Haga fu squalificato per la positività all’antidoping all’efedrina. Un farmaco anoressizzante che il giapponese prendeva per dimagrire più velocemente dopo il riposo invernale che lo aveva appesantito.

Iniziò quindi una serie di ricorsi e appelli che ingiustamente si protrasse fino alla penultima gara, condizionando l’esito di una stagione in cui Haga, con questa moto nettamente inferiore sul dritto, aveva tenuto testa – e a volte persino strapazzato - Edwards. Rimarrà nella storia il sorpasso esterno all’ultima curva del Motodrom di Hockenheim, dove il giapponese si rifece, lui che sui lunghissimi rettilinei perdeva anche 15 km/h. Quel sorpasso fece impazzire il pubblico.

E proprio il tributo della gente resta il vero titolo di Haga, il cui nome non compare nell’albo d’oro dei campioni della SBK. In quel 2000, quattro successi e 11 podi ottenuti con la spada di Damocle della sanzione (perse i 25 punti di Gara 2 in Sud Africa) non bastarono, e Haga venne sospeso per un mese, non potendo così vivere in pista la sfida finale di Brands Hatch. Fu una sorta di specchio della carriera di un pilota spesso vincitore di tappa (43 manche conquistate) ma mai del titolo, con tre stagioni da vice campione (due con la Yamaha, da ricordare il 2007 chiuso a soltanto due lunghezze da James Toseland) e altre quattro concluse al terzo posto.

Marcellino Lucchi, il super collaudatore della 250

  • Link copiato

Commenti

Leggi motosprint su tutti i tuoi dispositivi