Ducati Story: Troy Bayliss, una carriera nel segno del Rosso

Ducati Story: Troy Bayliss, una carriera nel segno del Rosso© GpAgency

L'australiano si è fatto amare non solo per i successi, ma anche per lo stile di guida estremo, l'umiltà mai smarrita, la fedeltà a Borgo Panigale

17.04.2022 ( Aggiornata il 17.04.2022 18:07 )

Bayliss: veloce, sempre


Invece, tutti si accorsero di quanto l’australiano fosse forte anche in sella alla Desmosedici di Sete Gibernau, infortunatosi in Portogallo nel penultimo appuntamento stagionale. I critici ricordavano un Troy “prototipale” lunatico, incostante, dal rendimento altalenante. In effetti così era stato nei due anni alla corte bolognese in MotoGP, forieri di quattro podi. Nella formazione ufficiale emanata dal reparto corse italiano, “Baylisstic” aveva disilluso le aspettative riposte sulle sue spalle, concludendo sesto nel 2003 e quattordicesimo l’anno successivo. Successivamente, con la squadra gialla Camel Honda, Troy non colse nulla di importante nel 2005, lasciando il gruppo con il quindicesimo posto della graduatoria generale, e lo fece in anticipo, a causa di un incidente rimediato a Brno.

Ecco perché gli addetti ai lavori non immaginavano che la scintilla si sarebbe riaccesa improvvisamente a Cheste, nel giorno del clamoroso errore che costò a Valentino Rossi, consegnandolo nelle mani di un altro futuro ducatista come l’indimenticabile Nicky Hayden.

A Valencia, il numero 12 venne assistito nel garage Ducati dai “suoi” uomini, Ernesto Marinelli in primis, capotecnico con cui instaurò eccellenti rapporti professionali e umani, il manager Davide Tardozzi e il dirigente Paolo Ciabatti. I “complici” ne accesero l’impulso vincente, per l’unico successo in MotoGP collezionato dal canguro, autore del secondo crono in qualifica prima della fuga per la vittoria. Incurante della contesa valida per il titolo, Troy scappò “e basta”, evitando polemiche accessorie e ricevendo complimenti che nemmeno i precedenti due allori marcati SBK gli avevano garantito.

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