Prove Amarcord: la Yamaha R6 Supersport del team Lorenzini

Prove Amarcord: la Yamaha R6 Supersport del team Lorenzini© GpAgency

Una moto che rappresentava lo stato dell’arte della categoria più combattuta. Dopo averla provata, a raccontarcela è Randy Mamola

Archivio Conti

30.01.2022 ( Aggiornata il 30.01.2022 20:05 )

Preparazione specifica per ogni circuito


Il gruppo motore cambio veniva preparato ad hoc per ogni pista, mappature di accensione/iniezione e rapporti potevano essere variate in qualsiasi momento, lo stesso gruppo di scarico subisce leggere modifiche in funzione del tipo di erogazione che si vuole ottenere. La giusta carburazione era garantita dalla sonda lambda lineare allo scarico grazie alla quale la centralina autoadatta i parametri istante per istante. Sotto controllo in tempo reale sono anche tutti gli altri dati relativi al funzionamento del motore: pressioni, temperature, regimi di rotazione, tutti dati che possono essere fatti apparire sul display nel cruscotto. In realtà il pilota aveva giusto il tempo per accorgersi dei led di cambiata e per controllare il tempo sul giro oltre eventualmente a qualche temperatura che i tecnici chiedono di tenere sotto controllo.

L’elettronica gestiva pesantemente l’accelerazione, sia in partenza con un programma dedicato di “launch control” sia in uscita di curva con un traction control che può essere modificato in tempo reale dal pilota. Questa R6 disponeva di una frizione antisaltellamento regolabile coadiuvata nel suo lavoro dall’onnipresente centralina che era in grado di limitare il freno motore agendo sull’apertura del secondo corpo farfallato. Un enorme radiatore artigianale era fondamentale per dissipare il calore prodotto dal motore, mentre il circuito dell’olio rimane sostanzialmente quello di serie.

Il quattro cilindri Yamaha curato da Lorenzini era assolutamente prestazionale ma necessita di intervalli di revisione tutto sommato accettabili: 1.500 km senza essere aperto, dopodiché si andava a sostituire buona parte degli elementi interni soggetti ad usura. I componenti che si differenziavano dalla moto di serie erano relativamente pochi, il kit YEC comprendeva in pratica alberi a camme, guarnizione di testa, valvole e molle. Una buona parte della potenza in più si ricavava limitando le perdite per attrito grazie ad una corretta messa a punto con una cura maniacale delle tolleranze di accoppiamento. Già in questa categoria si avvertivano problemi legati ai consumi: gli oltre 135 CV alla ruota mettevano a dura prova la capacità del serbatoio di serie che nelle gare più veloci risulta appena sufficiente.

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