Vittorio Iannuzzo: “Io, a scuola da Fabrizio Pirovano”

Vittorio Iannuzzo: “Io, a scuola da Fabrizio Pirovano”© GpAgency

Il campano ha vissuto un capitolo fondamentale con la Casa di Hamamatsu: "È difficile diventare un loro pilota, ma se succede, entri nella condizione ideale. I consigli di Fabrizio mi hanno allungato la carriera e fatto diventare uomo"

28.09.2021 19:20

Genio e sregolatezza. Si potrebbe definire così Vittorio Iannuzzo, arrivato nel paddock del Mondiale delle derivate di serie molto giovane. Vittorio, che oggi lavora ancora nel mondo della moto come istruttore di guida, da molti era considerato un talento ma è stata la Suzuki a offrirgli la prima, vera, importante opportunità, che Vittorio ha accettato, entrando a fare parte di un mondo nel quale è cresciuto, sia come pilota che come uomo. Vincendo, nel 2002, il titolo della Superstock 1000 FIM, primo italiano a compiere l’impresa.

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Gli inizi e la proposta di Piro


Come sei arrivato in Suzuki?

“Passando da Sannio Moto, il concessionario Suzuki di Benevento! Mi ritrovai a parlare con una persona della Suzuki, Roberto Aloi, che mi spiegò l’interessante progetto di affiancare una squadra Supersport a quella ufficiale, dove correvano Chambon e Fujiwara. In questo team c’erano Fabrizio Pirovano e un altro pilota, che sarei diventato io. In quel momento conobbi Maurizio Romanelli e Daniele Mutti e queste persone mi scelsero come pilota del Team DMR Suzuki Italia”.

Avventura quasi interrotta alla fine di quel primo anno, il 2001.

“A fine anno il team venne smantellato e mi ritrovai a piedi. Pirovano mi disse che alla fine del 2001 avrebbe smesso di correre. Lui stava allestendo un team insieme a Suzuki Italia e mi propose un passo indietro per farne dieci in avanti, passando dalla Supersport alla Superstock, aggiungendo che avrei dovuto lasciare Avellino per andare a vivere a Monza, a casa sua, dove mi avrebbe insegnato a fare il pilota, anche fuori dalla pista”.

Tu non eri un amante degli allenamenti?

“Assolutamente no. Io preferivo le ragazze, diciamo... Ero un ragazzino, pensavo a divertirmi e con il fatto che gareggiavo nel Mondiale… aveva il suo fascino!”.

Cosa ti aveva prospettato Pirovano?

“Un contratto con Suzuki Alstare. Fabrizio mi faceva allenare tutti i giorni in palestra; poi guidavo molto la moto da Cross e il go-kart ma la differenza non era tanto l’allenamento. Lui mi teneva concentrato. Mi metteva pressione positiva e mi ricordava sempre i nostri obiettivi. Io devo tutto a Fabrizio Pirovano. Grazie ai suoi insegnamenti ho corso 15 anni nel Mondiale”.

Quella stagione, il 2002, non fu stata soltanto rose e fiori, anche se arrivò il titolo.

“A Brands Hatch ebbi un bruttissimo incidente e mi fratturai la clavicola sinistra e il femore. Dopo 28 giorni ero di nuovo in sella, non saltai nemmeno una gara e conquistai i punti necessari per vincere il campionato. La Suzuki mi faceva sentire importante e io ero nella condizione mentale di dare il massimo”.

Cosa accadde dopo la vittoria del titolo?

“Fabrizio Pirovano voleva portarmi in Superbike ma la Suzuki non aveva ancora una struttura per gestire due moto e l’unica sella disponibile era di Gregorio Lavilla. Così, nel 2003, corsi nel campionato italiano Superbike e feci diverse wild card nel Mondiale, con una GSX-R 1000 preparata nel garage di Pirovano, insieme a Peppo Russo e Silvio Picchi, un meccanico molto importante nella mia storia. Poi, ad Assen, finalmente, salii sulla moto ufficiale...”.

Era come te l’aspettavi?

“Non conoscevo bene quella moto ma cercai di dare il massimo, per giocarmi le mia possibilità. Purtroppo esagerai e caddi. Persi i sensi e rimasi dieci giorni all’ospedale di Assen. Non ricordo molto… Inseguivo Ruben Xaus, sono scivolato nel punto più veloce e mi hanno ripescato in un canale pieno d’acqua!”.

Quindi… passiamo direttamente al 2004.

“Avevo un contratto con la Suzuki ufficiale, in Superbike. Era il primo anno del monomarca Pirelli. Sfortunatamente, la Suzuki non accettò quel cambiamento; non corse in Superbike e io venni dirottato in Supersport. Fu una stagione deludente”.

L'addio e il ritorno


Il 2005 è stato l’anno del primo addio.

“Sì. La Suzuki voleva puntare su Troy Corser e un pilota giapponese (Kagayama, ndr). Per me c’era un posto in Superstock ma io accettai l’offerta di Claudio Castiglioni e della MV Agusta. Oggi posso dire che firmare quel contratto fu un errore”.

Però, in seguito, sei tornato nell’orbita Suzuki.

“Nel 2006 Suzuki Italia mi ha messo a disposizione una Superbike preparata da Peppo Russo e gestita dal Team Celani, per correre il Mondiale. Poi, nel 2014 ho corso con la Suzuki nell’IDM Supersport e nel 2017, sempre nell’IDM, ho guidato la GSX-R1000R. Io sono stato fortunato a entrare nella famiglia Suzuki, che non apre le porte a tutti, però coloro che hanno la fortuna di essere accolti nel mondo Suzuki, vengono coccolati e messi davvero in condizione di vivere da professionisti”.

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