Johnny Cecotto, bello e dannato | Storie Sprint

Johnny Cecotto, bello e dannato | Storie Sprint© Archivio Motosprint

L'esclusiva: "Sconfissi Giacomo Agostini al Paul Ricard, nel giorno in cui debuttai nel Mondiale con due successi. E quanti scherzi nel paddock"

Jeffrey Zani

05.01.2024 ( Aggiornata il 05.01.2024 16:59 )

Johnny Cecotto: il pilota, il personaggio


L’anno successivo, il 1976, trionfasti alla 200 Miglia di Daytona sulle tele, con la gomma posteriore finita. Il tuo rivale principale era Kenny Roberts, anche lui alle prese con qualche problema di pneumatici.

“Eravamo entrambi alla frutta, ma io riuscii ad arrivare in fondo, lui no. Si dovette fermare per una sosta ‘extra’. Montavamo le Goodyear. Non so se avessimo lo stesso materiale, perché Kenny era trattato da ufficiale, io invece ero un semplice cliente. In ogni modo, dopo il suo problema quelli dei pneumatici corsero a dire al mio team di fermare anche me. Probabilmente avrebbero preferito una vittoria di Kenny Roberts, statunitense come loro, idolo di casa a Daytona. Ma la mia squadra li rassicurò dicendo che avevano controllato il battistrada nella sosta per il rifornimento, e andava tutto bene. Arrivai sotto la bandiera a scacchi con l’acqua alla gola, ma c’ero riuscito: primo!”.

Quell’anno gareggiasti anche in 500, dove nel 1978 conquistasti otto pole su 11 Gran Premi: vincesti in volata ad Assen, raccogliendo qualche altro podio, ma in altre occasioni andò peggio. A cos’era dovuta questa altalena?

“Guidavo una Yamaha privata, non ufficiale. In qualifica andavo forte, ma in gara emergeva un problema: dopo qualche giro il posteriore cominciava a saltare e mi costringeva a rallentare. Nelle curve la moto non stava più attaccata a terra e diventava inguidabile. Fra il battistrada, la carcassa e l’ammortizzatore si innescava qualcosa di anomalo”.

La tua Yamaha 500 funzionava soltanto sul giro secco, insomma. Nella Formula 750 la musica invece era diversa.

“Lì guidavo una moto ufficiale, però. Mi pare che i pneumatici fossero gli stessi della 500, ma l’ammortizzatore era un altro. Con quella moto, quindi, il problema non c’era e riuscivo a concretizzare, tanto che vinsi il titolo. La 750 è la miglior moto che abbia mai guidato. Una bestia, certo, super veloce, difficile e potentissima: dava un gran gusto”.

Le tue esperienze con le due ruote erano iniziate proprio con una moto di quella cilindrata, ma in un contesto del tutto diverso.

“Sì, la mia storia era cominciata in Venezuela una settimana prima dell’inizio del campionato nazionale del 1972. Avevo 16 anni e guidavo una Honda CB quattro cilindri stradale. Per pura curiosità mi feci i circa 300 chilometri che mi separavano dalla pista di San Carlos per andare a vedere le prove dei piloti che avrebbero partecipato alle serie venezuelane. Avevano mezzi da corsa, ma alcuni, come me, avevano raggiunto il tracciato su moto stradali. Finite ufficialmente le prove, si erano messi a girare in pista con le stradali: visto che ero lì, mi unii al gruppo, a proteggermi giusto un paio di jeans e un giacchino. Tenevo comodamente il passo degli altri. Così uno mi disse: ‘Hai girato bene, corri anche tu domenica prossima?’. E io: ‘No, assolutamente’. La sera tornai a Caracas e andai a dormire. La mattina successiva mi svegliai con una convinzione: avrei corso anch’io!”.

Cosa ti serviva per farlo?

“Innanzitutto il permesso di mio padre, che aveva un’officina di auto. Mi liquidò con sufficienza, dicendomi di lasciar perdere. Ma io lo martellai senza pietà, tormentandolo per tre giorni, finché non cedette. Fatta la licenza, poi, ero pronto per partire. Papà, vedendomi con i jeans, mi diede dello scemo e mi mandò a comprare una tuta di pelle. La ricordo ancora, gialla, di parecchie taglie in più. La pagai con un assegno”.

Così ti presentasti alla tua prima gara: una 750 stradale sistemata alla bell’e meglio e senza esperienza.

“Si partiva a spinta, a motore spento. La mia Honda aveva il motorino d’avviamento, che era vietato. Prima del via un commissario mi avvertì, dicendomi che mi avrebbe tenuto d’occhio. Non ci avevo mai provato, e infatti fu una débâcle: spingevo la mia Honda, una falcata dopo l’altra, tenendo il gas aperto. Insomma, sbagliavo. Quando, esausto, chiusi la manopola, il motore finalmente partì e mi avviai, ultimissimo. Rimontai fino al terzo posto ma mi si ruppe la catena. Poi i primi due si ritirarono. Morale, avrei potuto vincere…”.

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