Officina: le alternative alla saldatura

Officina: le alternative alla saldatura

Dalla chiodatura all’interferenza, passando per gli accoppiamenti tramite viti

06.11.2022 ( Aggiornata il 06.11.2022 08:29 )

Quando si tratta di unire le parti in maniera salda e permanente, il più delle volte esse vengono saldate. Se si esamina con attenzione un telaio a doppia trave in lega di alluminio, in genere si possono osservare chiaramente in più di un punto i “cordoncini” di saldatura nelle zone interessate. Non sempre però i materiali da unire possono essere saldati (almeno utilizzando le tecnologie usuali). Quando invece le parti devono essere vincolate una all’altra in maniera salda e rigida ma comunque tale da consentire una loro successiva separazione, si impiegano sistemi diversi.

La chiodatura


La chiodatura prevede l’impiego di una serie di rivetti (ovvero di “chiodi” o ribattini) che vengono inseriti di precisione o con lieve forzamento in fori praticati nelle parti da unire.

Dopo la loro installazione le loro estremità vengono deformate mediante ribaditura. A seconda dei casi, la chiodatura può essere effettuata a freddo o a caldo. Nel nostro settore essa viene tipicamente impiegata per vincolare il mozzo al rotore nei generatori di corrente ma ha anche altre applicazioni. L’unione in questi casi dovrebbe essere considerata permanente; al ricambio infatti le due parti non vengono fornite singolarmente. Volendo però è possibile separarle. In tal caso occorre asportare le teste dei rivetti. La pratica è sconsigliabile perché non è detto che sia possibile reperire rivetti di tipo adatto e perché la successiva chiodatura è una operazione critica.

Insomma, si tratta di un intervento possibilmente da evitare. L’unica eccezione è costituita dalle catene, nelle quali in effetti le maglie sono unite mediante perni poi assicurati alle piastre mediante ribaditura delle estremità. Questi organi meccanici possono venire aperti o chiusi (appunto mediante chiodatura). Parlando di unioni salde ma separabili all’occorrenza non si possono non menzionare i vari sistemi impiegati in passato per realizzare gli alberi a gomiti compositi.

La soluzione Harley-Davidson


Tra le numerose soluzioni che prevedono l’uso di elementi filettati, ovvero di viti o dadi, una ha continuato ad essere impiegata a lungo dalla Harley-Davidson per i suoi classici bicilindrici ad aste e bilancieri raffreddati ad aria. In tali motori le varie parti che costituiscono l’albero a gomiti erano unite mediante accoppiamenti conici e dadi. La stessa soluzione è stata largamente utilizzata dai costruttori italiani (fino al termine degli anni Quaranta) e inglesi. Questi ultimi hanno continuato ad impiegarla fino ai primi anni Sessanta.

Lo schema tipico prevedeva l’albero in cinque parti, con i due perni di banco e quello di biella che venivano unite in tal modo ai due volani. Il sistema è valido, ma non è certo il più razionale, o il più conveniente per quanto riguarda il procedimento di fabbricazione.

Talvolta sono state utilizzate grosse viti assiali con dado, serrando le quali si stringeva con forza il perno tubolare tra i due volantini dell’albero. Il sistema funzionava ma se il foro del perno non era di diametro ridotto c’era il rischio di indurre lievi ma non trascurabili deformazioni della pista di rotolamento dei rullini. Sicuramente poteva esserci di meglio. Il tedesco Hirth ha pensato di praticare delle dentature frontali sulle parti da unire (volantini dell’albero e perni tubolari, sia di banco che di biella) in modo da assicurare una estrema precisione in fase di assemblaggio. Con l’albero montato, senza le bielle, i perni potevano essere rettificati e lappati fino a impartire loro le corrette dimensioni, forma e finitura superficiale, e al tempo stesso ottenendo un perfetto “centraggio”.

Il sistema, che consentiva di smontare e rimontare più volte l’albero mantenendo la coassialità dei perni di banco, purtroppo era estremamente costoso e di realizzazione complessa. Lo hanno impiegato, con grande successo, soltanto alcuni motori da competizione. Rimane sempre estremamente valido, in particolare per i motori policilindrici.

Meritano di essere ricordati anche gli alberi compositi nei quali le varie parti venivano unite con un sistema a morsetto. Non si deve pensare che si tratti di una soluzione adeguata soltanto in presenza di potenze ridotte. La impiegavano alcuni grossi stellari d’aviazione, che erogavano ben oltre 1000 cavalli! Nel nostro settore vanno menzionati almeno la Lodola della Moto Guzzi e la bicilindrica Berneg, autentica cometa bolognese degli anni Cinquanta.

Officina: lunghezza di biella, un valore relativo

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