L'inchiesta: Tourist Trophy, correre o non correre?

L'inchiesta: Tourist Trophy, correre o non correre?© Fabio Armanino

Dopo un'edizione funestata dalla morte di cinque partecipanti, sentiamo le voci di chi ha corso al TT e giura fedeltà alla gara più pericolosa

26.07.2022 ( Aggiornata il 26.07.2022 19:57 )

La difesa di Bonetti


Il primo della serie non poteva che essere Stefano Bonetti, quarantacinquenne meccanico bergamasco, che al TT ha dedicato un terzo della sua esistenza: tra 2004 e 2022 ha disputato 15 edizioni delle 17 andate in scena, saltando soltanto quelle del 2006 e 2013 per infortunio. “Dai primi tentativi di scalata nel 1922 a oggi sono morte sull’Everest oltre 310 persone e una novantina sul K2 - si accalora - eppure non si sentono polemiche sull’alpinismo e nessuno chiede di vietare la scalata degli Ottomila”.

In 15 edizioni ha preso il via 62 volte, tagliando il traguardo in 49 occasioni, con il quarto posto nella Lightweight 2018 con la Paton come miglior risultato:E non sono mai caduto, a differenza della NW 200 dove ho avuto due incidenti. Ci sono andato vicino con un dritto, ho preso un marciapiede ma sono rimasto in piedi”.

Agostini: "TT, adrenalina unica"


Un incidente di cinquant’anni fa ha invece cambiato il corso della storia, grazie anche all’insistenza di Giacomo Agostini che pure ha vinto 10 volte al TT: “La morte di Gilberto Parlotti nella 125 fu la goccia che fece traboccare il vaso. Non trovavo giusto che tutti gli anni morissero dei piloti. Tutti possiamo sbagliare, dovevamo avere la possibilità di non morire. Non aveva senso che ci obbligassero a partecipare”. E così il boicottaggio di Ago e dei migliori portò, a fine 1976, all’esclusione della gara dal calendario iridato. Eppure, una volta ritiratosi, Agostini non ha smesso di tornare sull’isola per cimentarsi nei giri in parata.

Parata per modo di dire, perché anche il mese scorso, quando è salito sulla sua MV Agusta per accompagnare il Principe del Bahrain, non si è risparmiato:Guidare lì ti dà un’emozione, un’adrenalina che non trovi su altre piste. A un certo punto mi sono fatto prendere la mano, ho dato una smanettata e via. Poi mi sono dato del pirla: ‘Hai 80 anni, cosa stai facendo?’”.

Anche per questa ragione “Mino” non ama schierarsi né a favore dell’abolizione del TT né contro: “L’ho sempre ammirato ma dico anche che è pericoloso, non ci sono vie di scampo. Anni fa proposi di realizzare una pista di 12 km, scavando nella campagna al centro dell’isola. Si eliminerebbero i passaggi in mezzo ai paesi e si avrebbero vie di fuga, senza piante, muri e guard-rail lungo il tracciato, con tribune naturali, la gente accampata sull’erba. Purtroppo non se n’è fatto nulla”. Una simile soluzione avrebbe forse potuto avvicinare i piloti di Motomondiale e Superbike per i quali, giustamente, la sicurezza è considerata necessaria.

Ciò nonostante due pistaioli con buoni curriculum hanno voluto mettersi alla prova al TT: Alessio Corradi l’ha corso nel 2008, 2009 e 2012, Alessandro Polita nel 2016 e 2017. L’emiliano, campione europeo Supersport 2001, ci confida che ne avrebbe fatti molti di più: “Prima di essere un pilota da pista, ho iniziato ad andare in moto per strada. Negli anni Novanta vidi la foto di una moto in salto a Ballaugh Bridge. Mi sembrava una cosa stranissima, ai tempi l’Isola di Man era un tema per appassionati. Avrei potuto correrlo durante il Mondiale (due podi per lui in Supersport, ndr) ma il mio manager si oppose. Finché, nel periodo più triste della carriera, mi sono detto: ‘Vado e me lo faccio da solo’”.

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