Troppa tecnologia in MotoGP: chi fermerà il progresso?

Troppa tecnologia in MotoGP: chi fermerà il progresso?© Luca Gorini

Le moto della classe regina fanno discutere: le sofisticazioni livellano i valori in campo e rendono difficili i sorpassi. Ecco i pareri di Agostini e Capirossi

15.07.2022 ( Aggiornata il 15.07.2022 07:36 )

L'esempio di fine 2006


Funziona che, periodicamente, Dorna, MSMA, FIM e IRTA si riuniscano, nel tentativo di calmierare prestazioni e costi, voci in costante crescita.

Era così nell’era dei due tempi, si continua con ulteriore impegno dall’introduzione dei quattro tempi: apporre modifiche, paletti, argini e quote ove possibile, sapendo che – in ogni caso – gli ingegneri troveranno il modo per ottenere cavalli, capacità di tenuta in curva, staccate sempre più violente. La cilindrata massima introdotta agli albori della MotoGP era di 990 centimetri cubi, e prevedeva l’utilizzo di frazionamenti disparati. La Honda aveva nel suo cinque cilindri l’arma totale, la Yamaha rispose con il “quattro in linea”, soluzione adottata anche dalla Kawasaki, mentre Ducati e inizialmente anche Suzuki andarono sul V4.

Diverso il tre cilindri proposto dall’Aprilia. Già in quel periodo, le Case come i team notarono quanti soldi servissero per alimentare i progetti, da cronologici sul giro in crollo praticamente ovunque, anche per merito delle gomme, nel periodo denominato “Tyre War”, definizione mutuata dalla Formula 1.

Alla fine del 2006 fu rivisto il regolamento, portato a 800 cm³. L’intento venne pensato in termini di sicurezza e prestazionali. Se abbassare di due litri la capacità dei serbatoi delle 990 – da 24 a 22 nelle stagioni 2005 e 2006 – sembrò un palliativo, la riduzione di una “fetta di motore” prometteva bene. Sì, ma bene per velocità in curva ed erogazione dei propulsori: le “ottocento” volavano in piega, somigliando davvero alle due tempi nella qualità dell’accelerazione. Si sfiorarono i 20.000 giri al minuto ma a colpire era soprattutto la distribuzione della potenza: quando entrava in coppia, la MotoGP del lustro 2007-2011 sembrava spinta da una turbina, con relative pattinate di posteriore.

Per non parlare delle citate curve: in caso di scivolata, gli spazi di fuga di alcuni tracciati si rivelarono risicati e da ampliare. Da abbassare, invece, le spese: la categoria regina lievitava in richieste ed esigenze, ecco perché il regolamento fu riscritto. E rieccoci alle “mille”, da cilindrata piena. Quattro cilindri per tutti, alesaggio massimo di 81 millimetri, peso minimo lievitato nel tempo, fissato a 157 chilogrammi. Senza dimenticare l’avvento del monofornitore di pneumatici dal 2009 e il contingentamento dei propulsori, aggiungiamo il capitolo dedicato ad ali e aerodinamica.

Perché vanno bene il mass damper, il cambio seamless, il kers, le piattaforme inerziali, i GPS, gli abbassatori (oggetto di contesa tra Case e squadre) e quant’altro, però le ali no. O meglio. sì, tuttavia “scatolate”, dato che le appendici aerodinamiche viste nel 2016 ricevettero critiche e il dito puntato alla voce “pericolo”.

Nessun pericolo per disegnatori e progettisti, capaci di trovare soluzioni efficaci, efficienti e nel rispetto di quanto richiesto dall’organizzatore e, va sempre tenuto in mente, marchi del caso. Perché sono i marchi a spingere nello sviluppo, altrimenti, la MotoGP avrebbe poco senso. Però, senza esagerare, perché anche le casse delle aziende vanno tutelate.

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